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Finalmente Re Max detto il “Panscia” era libero, libero di ritornare
ai verdi prati delle terre Barbare, libero di cacciare con i suoi fidi
guerrieri l’animalo sacro, l’animalo setoloso, l’animalo per
eccellenza: il cinghialo di foresta. Il cinghialo è la forza e chi si
nutre della sua carne ne assume i benefici effetti, che sono immensi più
della pozione magica del Mago Panemix tanto temuta dalle legioni romane.
Beh…….volete sapere cosa fece Re Max di ritorno dalla lunga prigionia?
Neanche a dirlo, allestì con
i suoi guerrieri un grande e maestoso banchetto in un luogo segreto detto
il “Castello” sopra le desolate colline di Lurate Caccivio. Lì i
nostri eroi incontrarono le truppe della regina delle Valchirie, Lady
Patty degli Orrigoni e con esse festeggiarono fino a tarda notte tra cibo,
birra, canti, balli, avventure amorose e ogni ben di Odino. La festa fu
tra le più grandi che l’esercito barbaro ricordi, ma il nemico era alle
porte………..
L’indomani, infatti, un cupo suono di corno risvegliò le truppe dalla
notte brava…… era Mastro Billa che alzatosi di buona lena per riuscire
a bere da solo l’ultimo gallone di birra rimasto, aveva visto in
lontananza avvicinarsi una legione romana. Ancora ebri e indeboliti dalle
performance amorose delle valchirie, l’esercito dei Mimombo correva un
serio pericolo. Poco potevano fare i nostri eroi in quelle condizioni
contro una ben organizzata legione come quella dei Lambrughesi che gli si
stava ponendo di fronte. Lo scontro era inevitabile e l’unica cosa che
si poteva fare era limitare le perdite ed aspettare momenti migliori. Re
Max decise così di lasciar fuori dalla battaglia il suo più impavido
guerriero, Arma, colui che ricevette direttamente dalle mani di Thor il
suo famoso martello per far sì che la sua leggenda potesse proseguire in
un altro uomo degno. Purtroppo però i barbari erano troppo debilitati per
poter vincere, cosicché si dovettero limitare a portare a casa la pelle,
rimediando diverse ferite, ma quantomeno erano ancora vivi.
Re Max pian piano che passava il tempo capiva che l’esercito del quale
disponeva non era quello che aveva lasciato. Troppi giorni erano trascorsi
dall’ultima vera battaglia, gli uomini erano andati a coltivare i campi
ed erano in soprappeso e come se non bastasse non avevano più tanta
voglia di primeggiare combattendo per la vittoria.
A questo punto non restava che una soluzione, andare alla ricerca di quel
mitologico animale che resuscita dalle proprie ceneri più forte di prima:
l’ARABA FENICE!!!! Già, con essa anche l’esercito fucsia nero sarebbe
rinato, più forte di prima, più cattivo di prima, più MANNARO di
prima…….ma dove si trovava l’Araba Fenice? Beh, l’animale nato dal
fuoco si trovava sulle pendici di un monte impossibile da scalare per i
comuni mortali, un monte di nome umiltà, alto 10000 m, un monte che solo
i puri di cuore possono ambire a scalare. Coloro che non dispongono di
tale virtù erano destinati alla morte perché sicuramente non sarebbero
arrivati alla vetta e sarebbero morti dal freddo.
L’impresa era ardua, ma Re Max guardando in faccia ai propri guerrieri
scorse nei loro occhi un luccichio particolare, quel luccichio che aveva
già visto alla vigilia delle battaglie più dure…….e fu così che
decise di partire per la grande avventura, sicuro dell’esito positivo.
Già nei loro occhi aveva visto l’ARABA FENICE!!!
Partirono il 7/10/2004 convinti che tutti sarebbero tornati a casa sani e
salvi.
Sulle ali dell’entusiasmo superarono senza difficoltà la prima prova.
Infatti, sulla loro strada trovarono il primo vero ostacolo: la tribù dei
Ternatesi. Questa tribù dai
tempi che furono, fu sempre ostica avversaria dei guerrieri fucsia nero.
Guidati con astuzia da Pucci Barbalunga, i Ternatesi volevano vendicarsi
delle numerose sconfitte patite in passato. Non avevano però fatto i
conti con la voglia dell’esercito fucsia nero di arrivare alla tanto
agonista meta. La battaglia ebbe così veloce epilogo. Concentrati e
uniti, i Mimombo piegarono le difese nemiche, immobilizzando il loro più
valoroso guerriero Badalucco dei Badalucchi ed ebbero così
facile passaggio.
(Fine
della seconda parte -continua-)
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