Una leggenda tanto popolare nelle nebbiose lande del Varesotto e della
Comasca quanto diffusa nei granducati di Mediolanum e di PotaBergum
narrava delle epiche gesta di un piccolo gruppo di guerrieri mimombesi
capaci di gesta di straordinario valore. Si raccontava intorno ai focolari
che questi unomini dal viso nero e fucsia facessero ricorso a qualche
forma di magia che ne moltiplicava le forze e il coraggio e che gli
permetteva di sconfiggere in battaglia anche eserciti di giganti e di
draghi.
Qualcuno pensava che questi racconti fossero il frutto della vivace
fantasia di qualche burlone che si divertisse a farsi gioco dei più
ingenui. Altri invece dicevano che gran parte dell’esercito si fosse
disperso e che i rimasti fossero diventato ormai incapaci di cacciare il
cinghiale sacro e di collezionare le orecchie degli avversari.
Qualunque straniero ormai si sentiva libero di soffermarsi nei luoghi dove
una volta avrebbe avuto timore anche solo a passare.
Ma l’estate appena trascorsa i boschi di territori dove erano ambientate
gran parte delle leggende avevano iniziato a risuonare di un nuovo e
terrificante grido di battaglia: durante le notti più scure e nebbiose si
sentiva riecheggiare “OBROGNA, OBROGNA, OBROGNA!!!” il nome della dea
tutelare del mitico esercito gridato a gran voce dai suoi fedeli.
Sfruttando una favorevole congiuntura astrale il quarto giorno della
settimana pare che venisse svolto sotto la guida del Visir di un regno
straniero un itinerante rito esoterico che rinforzava il corpo e lo
spirito dei guerrieri di un esercito a cui pareva si fosse affiancato
anche da un valente gruppo di Valchirie esperte tanto nella battaglia che
nelle arti incantatrici. Fu così che il gran re Panscia,
accompagnato da due antichi e fedeli compagni di battaglia e da un
guerriero la cui forza era inversamente proporzionale alla lunghezza dei
capelli, decise che fosse giunto il momento di smentire chi pensava che la
sua corona fosse di cartone e che il suo regno esistesse solo nella sua
fantasia e lanciò un manipolo del suo esercito ad iniziare la riconquista
del territorio perduto.
La giornata non sembrava favorevole alla battaglia, i soldati sembravano
affaticati dalle peripezie notturne ma fecero cadere immediatamente,
cogliendola alla sprovvista, la roccaforte di Locarno. Ma la parte più
difficile della battaglia doveva cominciare e il primo scontro con le
valorose truppe nere del Gallarate sembrava dare ragione ai difensori
dalle lunghe alabarde di questa città. I Mimombo ricorsero allora ad un
stratagemma: mentre i nemici si dedicavano ai bagordi pensandoli in fuga
si mantennero leggeri cibandosi di un pasto frugale e liberandosi di tutti
i materiali superflui, ben sapendo che si sarebbero rifatti alla fine
della giornata pasteggiando anche con le orecchie dei nemici sconfitti.
E così conquistarono prima la città di Verbania e poi tornarono
all’attacco del Gallarate che, nonostante fosse riuscito ad allontanare
Re Pascia facendo ricorso all’intervento di Giove Pluvio, dopo un primo
attacco infruttuoso, iniziò a cedere al secondo e alzò bandiera bianca
sotto i furenti colpi dei Nostri ben prima della fine del terzo. E così
l’esercito vittorioso, dopo aver bevuto ancora una volta il nettare
sacro della vittoria, tornò al proprio accampamento carico delle
provviste e dei trofei di cui era riuscito a fare razzia.
Ora intorno ai focolari il nome dei Mimombo viene detto sottovoce perché
è chiaro a tutti che quello che qualcuno diceva fosse una leggenda è una
realtà che fa paura anche solo a nominarla…
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